Normativa

LA NORMATIVA ITALIANA SULLA CONDIZIONE FEMMINILE DAL 1990

Nella legislazione italiana sono state presentate alcune tra le più significative leggi in favore delle donne:
28 gennaio 2000 – Decreto legislativo in materia di part-time.
25 gennaio 2000 – Disegno di legge n.4624. Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
17 gennaio 2000 – Legge costituzionale n.1. Modifica all’articolo 48 della Costituzione concernente l’istituzione della circoscrizione Estero per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

Decreto n.306 del 15 luglio 1999, emesso dal Ministro per la Solidarietà sociale, recante disposizioni relative agli assegni per il nucleo familiare e di maternità, a norma degli artt.65 e 66 della legge 23 dicembre 1998 n.444, come modificati dalla legge 17 maggio 1999 n.144.

Legge n. 157 del 3 giugno 1999, in materia di rimborso di spese elettorali. L’art.3 n.1 di tale legge mira a favorire, secondo quanto più volte richiesto dalla Commissione Nazionale di Parità, la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, disponendo che "ogni partito o movimento politico destina una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti per consultazioni elettorali ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica".

Legge n.25 del 5 febbraio 1999 (legge comunitaria 1998). L’art. 17 di tale legge, al fine di adeguare la legge italiana alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 4 dicembre 1997, ha abrogato il divieto di lavoro notturno per le lavoratrici tessili (per le altre lavoratrici il divieto non operava già in precedenza), escludendo però comunque dalla prestazione del lavoro notturno le donne in stato di gravidanza fino ai tre anni di età del minore, ovvero da parte dei lavoratori con disabili a carico.

Decreto del Ministro della P.I. n.383 del 7 ottobre 1998. Modificazione alla denominazione degli Istituti tecnici femminili con quella di "Istituiti-Tecnici per attività sociale".

Decreto l.gvo n.286 del luglio 1998. T.U. sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

Legge n.165 del 27 maggio 1998. L’ art.4 ha modificato l’art.656 del c.p.c. e dispone fra l’altro che la pena della reclusione non superiore a quattro anni nonché la pena dell’arresto possono essere scontate nella propria abitazione ovvero in luogo pubblico di assistenza o accoglienza, quando trattasi di donna incinta o madre di prole di età inferiore ai dieci anni.

DPCM n.405 del 28 ottobre 1997 di istituzione ed organizzazione del Dipartimento per le Pari Opportunità nell’ambito della Presidenza del Consiglio.

Decreto del Ministro del Ministro dell’Agricoltura del 13 ottobre 1997 che istituisce l’Osservatorio Nazionale per l’imprenditoria femminile ed il lavoro in agricoltura.
Direttiva del 27 marzo 1997 del Presidente del Consiglio dei Ministri On. Romano Prodi, in favore di azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità delle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini. La direttiva è stata emanata in seguito alla considerazione che i movimenti delle donne, portatori dell’idea di differenza di genere, sono stati elemento propulsivo nella redazione del programma di azione di Pechino e altresì alla considerazione che nella quarta conferenza mondiale sulle donne sono stati individuati numerosi obiettivi strategici per l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace e che i governi si sono impegnati a realizzare azioni conseguenti in relazione alle specificità delle singole realtà nazionali.

Decreto 19 febbraio 1997 di istituzione presso gli uffici del Ministro per le Pari Opportunità della Commissione per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile e dell’osservatorio per l’imprenditorialità femminile.

Legge n.66 del 1996 classifica come reato contro la persona il reato di violenza sessuale (che include sia la violenza carnale vera e propria che gli atti di libidine violenti, di solito perpetrati nei confronti dei minori) così mutando la qualificazione della normativa precedente che lo definiva reato contro la morale. In tal modo viene restituita dignità alla vittima, finalmente considerata "persona", mentre si é cercato di punire il reato in modo tale (con pena gradabile fra i tre ed i cinque anni) che non fosse possibile il patteggiamento (ammesso per pene inferiori ai due anni), di modo che lo stupratore non restasse sostanzialmente impunito. Tuttavia con la legge C.Simeoni (dal nome del relatore) é oggi possibile che lo stupratore ottenga subito gli arresti domiciliari. Sono previste circostanze aggravanti che comportano l’aumento della pena fino a 12 anni, quali la violenza commessa nei confronti di persona minore degli anni 14 ovvero di anni 16, se il colpevole è un genitore o un nonno, ovvero con l’uso di armi, sostanze alcoliche o stupefacenti o sostanze comunque dannose per la salute, ovvero quando il violentatore sia un pubblico ufficiale, ovvero quando la violenza sia stata compiuta su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale.

Legge n.52 del 6 febbraio 1996 (legge comunitaria). L’art. 18 recepisce, previa consultazione della Commissione Nazionale di Parità e del Comitato per le pari opportunità presso il Ministero del Lavoro la normativa europea in tema di parità di trattamento fra uomini e donne.

Legge n.332/95, art.5, che modifica l’art.275, 4c., codice di procedura penale, prevedendo il divieto di custodia cautelare in carcere di donne incinte o madri fino al compimento del terzo anno d’età del figlio.

Legge n.236/93, art.6, sul vincolo, nei licenziamenti collettivi, di non effettuare espulsioni di lavoratrici in misura percentuale superiore a quella del personale femminile occupato nell’impresa nelle medesime mansioni, e con interventi in favore delle lavoratrici madri durante la mobilità.

D.lgs. n.29/93, art.7 e 61, rispettivamente sulla parità e pari opportunità sia per l’accesso al lavoro sia per il trattamento sul lavoro relativamente alla gestione delle risorse umane (art.7) e sulla istituzione di quote di donne nelle commissioni di concorso sulla pari dignità di uomini e donne sul lavoro e sulla partecipazione delle dipendenti delle Pubbliche amministrazioni ai corsi di formazione e aggiornamento professionale (art. 61) (questa legge dà la possibilità , ex art.7, ai comitati paritetici del settore pubblico di concorrere alla gestione delle risorse umane).

Legge n.104/92, legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

Legge n.91/92, (art.1,4 e 9) recante nuove norme sulla cittadinanza con il relativo regolamento di esecuzione (DPR n.572/93) e il regolamento recante disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana (DPR n.362/94).

Legge n.266/91, legge quadro sul volontariato.

Legge n.166/91, art.8, sul trattamento economico delle lavoratrici madri dipendenti da amministrazioni pubbliche.

Legge n.979/90, sull’indennità di maternità per le libere professioniste.

D.l.vo in materia di armonizzazione della contribuzione figurativa, con interventi a favore del suo riconoscimento durante i periodi di astensione dal lavoro per maternità.

L’accesso alle donne alla magistratura militare, attuato con delibera del 6 ottobre 1989 del Consiglio della magistratura militare.

Legge n.25 del 27 gennaio 1989. L’art. 2 di tale legge eleva a quarant’anni la data di partecipazione ai concorsi pubblici, come sollecitato anche dalla Commissione Nazionale di Parità per consentire anche alle donne che non abbiano potuto dedicarsi ad attività lavorativa in età giovanile, perché impegnate in incombenze familiari, di inserirsi nel mondo del lavoro.

Legge n.546 del 29 dicembre 1987. L’art.1 di tale legge estende l’indennità giornaliera di gravidanza e puerperio alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, colone, artigiane ed esercenti attività commerciali.

Per maggiori informazioni in merito: www.palazzochigi.it/cmparita/lex/donne/italiana

LA COMMISSIONE NAZIONALE PARI OPPORTUNITA’

La Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna presso il Governo italiano nel 2000 compie dieci anni dalla sua istituzione per legge, nel 1990. Dal 1984 operava in forza di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dieci anni segnati da importanti tappe nel cammino delle donne italiane verso la conquista di condizioni giuridiche e reali di parità, dalla legge sulle azioni positive a quella sulla imprenditoria femminile, dalla estensione della tutela della maternità alle lavoratrici autonome alle donne in condizioni non lavorative alla legge contro la violenza sessuale, dalle norme per il riequilibrio della rappresentanza nelle istituzioni locali alla Direttiva Prodi in applicazione del programma di azione di Pechino, dalle pari opportunità nella riforma della pubblica amministrazione alla riforma della cooperazione allo sviluppo e alla promozione dei diritti umani, civili e culturali delle donne.
La Commissione nazionale parità, composta da donne rappresentative delle forze politiche, del sindacato dell’imprenditoria, delle associazioni, della cultura, delle migranti e native, delle religiose, ha lavorato in questi ultimi anni per promuovere l’integrazione della prospettiva di genere in tutte le politiche e per la valorizzazione della risorsa femminile nei luoghi istituzionali e decisionali.
La prospettiva nuova che noi donne dobbiamo realizzare in questo nuovo millennio che si apre è una reciprocità tra uomo e donna capace di realizzare una condizione umana solidale e rispettosa dei diritti della persona, dello sviluppo e della pace.
Silvia Costa


100 ANNI DI STORIA

L’inizio del secolo 1900-1915

Ha avuto fortuna la tesi del "secolo breve": il Novecento comincia con la prima guerra mondiale, vera cesura storica, e finisce con la caduta del muro di Berlino. La tesi, concentrata sui conflitti politici piuttosto che sui processi di trasformazione sociale e culturale, non è valida per le donne.
Per le donne il secolo comincia subito: vi esprimono già una forza nuova, effetto delle contraddizioni irrisolte dell’Ottocento. All’apertura del secolo permangono infatti tutti i segni drammatici della arretratezza femminile, dal diritto di famiglia legato al primato del marito alla piaga dell’analfabetismo (ancora nel 1901 c’è il 54% di donne analfabete, con punte fino all’87% in Calabria, contro il 42% degli uomini), dalle morti per parto allo sfruttamento salariale. Ma, malgrado le difficoltà frapposte, ad esempio per l’accesso ai licei, si accelera la pressione per la scolarizzazione femminile, con la crescente presenza delle donne all’Università e il fenomeno nuovo delle maestrine.
Si consolida il lavoro femminile, che resta importante, anche se spesso solo giovanile, nell’industria, ma le donne raccoglieranno in massa, con un effetto moltiplicatore, le prospettive che si aprono con le figure nuove delle commesse, segretarie, impiegate delle poste, telegrafiste.
La condizione femminile muta nelle aree agricole, con il prevalere della economia di mercato su quella di autoconsumo, colpendo le attività, tessili, conserviere, tradizionali delle donne. Un processo analogo avviene nelle fasce borghesi con la crisi della dote che accelera la critica al matrimonio convenzionale combinato. Questo insieme di mutamenti ha il suo scenario e il suo coronamento nello sviluppo dell’urbanesimo. I problemi della famiglia operaia, affrontati sul terreno pratico già dal femminismo ottocentesco, sono finalmente, nel 1902, questione politica, simbolo della svolta riformista del socialismo, con la legge di tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, voluta da Anna Kuliscioff.
Scoppia, entro l’ampia gamma delle rivendicazioni giuridiche, la battaglia per il suffragio femminile, dall’Inghilterra alla Finlandia, dalla Danimarca alla Francia e anche in Italia: il decennio conoscerà una nuova espressione e una nuova immagine femminile, la "suffragetta".
Dietro essa c’è la straordinaria vitalità delle donne e dell’associazionismo femminile, costruita già dall’Ottocento entro un tessuto di rivendicazioni, denunce, lotte, dalle leghe sindacali alla fittissima rete di "opere sociali" (casse mutue, assistenza alla maternità e ai bambini, iniziative formative), dai gruppi alla ricerca di una nuova religiosità più impegnata alla moltiplicazione delle riviste. E’ una mappa variegata che coinvolge posizioni radicali estreme, signore della borghesia e della aristocrazia, nuove intellettuali, e inserisce le italiane nell’associazionismo femminile internazionale di ogni tendenza: ne sarà un segno un grande Congresso Nazionale delle donne del 1908, che affronterà tutti i temi della affermazione delle donne.
Il decennio vede un aumento vertiginoso della donna che scrive, ora militante esplicita della battaglia femminile, ora dedita a un intrattenimento che spesso però stimola riflessioni sul disagio delle donne. L’imprevisto emergere di una nuova figura di donna ha la sua conferma nella stampa. I giornali riflettono insieme il fenomeno e le inquietudini che provoca; sono pieni di notizie, fra compiacimenti, lamentele e interrogativi, sulla donna all’Università, sul lavoro
femminile, sul voto alle donne, sui mutamenti della famiglia.
Il prorompere della figura femminile provoca un nuovo disagio dei maschi, spinti a riaffermare il proprio primato in modo aggressivo e non più solo con le ovvietà tradizionali condivise, il "buon senso" diffuso dell’Ottocento. Il nuovo antifemminismo si inserisce nello scontro fra i tentativi di estensione dei diritti di cittadinanza (con la nascita della liberaldemocrazia, il socialismo riformista, il cattolicesimo democratico) e la critica all’idea di progresso, alla ragione, la fortuna dell’irrazionalismo, del vitalismo. Una forte misoginia caratterizza nazionalisti e molti futuristi, nel segno di una mascolinità carica di furori guerrieri e di complessi di superiorità, di darwinismo sociale ed esaltazione della guerra. Questo maschilismo nuovo colora di sé anche i processi di liberazione sessuale, cui pure già le donne non sono estranee. Al positivismo antifemminista di Mantegazza si accompagna la fortuna degli scritti antifemministi di Weininger e Papini.
Resta esemplare come segno del nuovo conflitto del secolo nel nostro paese la relazione della Commissione insediata da Giolitti sulla questione del voto alle donne che così concludeva nel 1910: il fatto che le donne partecipassero dello sviluppo culturale, economico e civile del paese era sotto gli occhi di tutti; nessuno poteva sostenere che la donna fosse intellettualmente inferiore all’uomo; ma la concessione del voto era da sconsigliare per ragioni di politica utilità in quanto sisarebbe risolta in un vantaggio per i clericali e i socialisti e in uno svantaggio per il governo.

Dalla prima guerra mondiale al fascismo: 1915-1939
La lotta femminile per il voto, con l’estensione del suffragio solo ai maschi nel 1912, si conclude con una sconfitta; l’associazionismo femminile risente della stanchezza per la battaglia perduta ed è fallito il disegno unificatore espresso nel grande Congresso Nazionale del 1908. Ma continua vivace l’impegno delle donne nelle lotte sindacali, in quelle per la modifica della legislazione, per l’ingresso nelle professioni, in quelle civili, come contro la tratta delle bianche e l’analfabetismo diffuso, e si intensificano e si raffinano le opere sociali.
A far compiere al protagonismo femminile un altro passo avanti sarà però la prima grande guerra mondiale, che comporterà come è noto uno straordinario coinvolgimento di popolazione civile, ignoto alle guerre precedenti. Ma essa vedrà anche, per la prima volta, un impegno attivo di donne associate e militanti femministe: sul versante pacifista, col rifiuto delle guerra e del vano tentativo di fermarla della Conferenza all’Aja nell’aprile 1915, che favorirà comunque l’intenso lavoro delle donne nel dopoguerra per la nascita di organizzazioni internazionali, per l’educazione alla pace, per l’attenzione all’infanzia; sul versante patriottico, ricercando anche nel sostegno materiale e morale dato alla propria nazione una conferma della propria cittadinanza, con il Corpo delle infermiere volontarie della Croce rossa, nato esso stesso nel 1908 da una battaglia emancipatoria e dal radicamento di una immagine nuova di donna e le intense attività di sostegno ai soldati di tanti Comitati femminili.
Con la guerra, per le necessità della produzione militare, le donne entrano in modo massiccio nelle fabbriche: nella sola industria delle munizioni le donne passano dalle 1760 del 1914 alle 200.000 del 1918. Ciò provoca risveglio egualitario, militanza sindacale femminile, come si vedrà con le lotte contro i licenziamenti di donne nel dopoguerra.
La fine della guerra vede una rivoluzionaria trasformazione del costume; ne è simbolo evidente il taglio dei capelli e delle gonne. Ma è una trasformazione segnata ancora da profonde contraddizioni. Il voto alle donne passa senza ulteriori difficoltà alla Camera dei deputati, anche se è destinato a cadere con la fine della legislatura. E’ operante la legge sulla emancipazione femminile che ammette le donne in tutte le professioni e in tutti gli impieghi pubblici; ciò non impedirà nel 1920 il licenziamento delle donne da tutti gli impieghi pubblici per ridare il posto ai reduci e l’espulsione delle donne dalle fabbriche.
Questo avviene in un quadro di nuova forza femminile, con la nascita delle prime aggregazioni di donne professioniste e laureate, attive in campo culturale, con la crescente scolarizzazione che porterà a rendere miste tutte le scuole nel 1923.
Gli esiti di questa domanda diffusa di innovazione saranno però, come è noto, opposti: anche lo sconcerto diffuso intorno alla nuova figura femminile alimenterà il consenso popolare al fascismo e al nazismo.
Il regime fascista, a differenza dello Stato liberale, avrà una "politica femminile". Questa politica raccoglierà dal femminismo ottocentesco le esperienze già avviate di sostegno alla maternità (l’Opera maternità e infanzia) non però in nome dei diritti delle donne e dei bambini ma in nome della politica demografica di potenza. La legislazione fascista sarà costruita esplicitamente sulla disuguaglianza fra i sessi, sulla subordinazione della donna all’uomo, chiudendola nella funzione procreativa come forma propria del rapporto con la Nazione. Questa filosofia si concretizzerà nella legislazione, respingendo le donne dall’insegnamento nei licei, limitandone la presenza negli impieghi pubblici, riducendone i salari e così via. Un effetto disastroso l’avrà la fine dell’impegno sindacale, politico, associativo che aveva contribuito alla maturazione della coscienza personale e la perdita della memoria femminista.
Ma, al di là delle intenzioni del regime, non si ferma l’evoluzione delle donne. Secondo l’andamento proprio di tutte le società industriali, la crescita del mercato, la maggiore mobilità, l’intensificarsi delle relazioni sociali, l’effetto dei nuovi media, come la radio e il cinema, offrono altrettante occasioni che la soggettività femminile è pronta a utilizzare. Cresce comunque la scolarizzazione femminile; si consolida nella prassi quotidiana l’esperienza del lavoro extradomestico; decollano le patenti d’auto (18. 773 già nel 1938,); aumentano i giornali femminili e la pratica sportiva. In una inchiesta che riguarda giovani romane emerge un insieme di aspirazioni e progetti agli antipodi della visione fascista della donna. Lo stesso regime non potrà restare del tutto estraneo a questa evoluzione femminile, come dimostrerà prima la nascita della Accademia femminile di Orvieto per le insegnanti di educazione fisica, poi la vicenda delle ausiliarie della RSI.
L’altra dittatura del secolo, la rivoluzione russa, ha un andamento opposto: agli inizi costituisce un precedente giuridico unico con l’apertura di tutti i campi alle donne, con fortissime innovazioni nella legislazione matrimoniale e nel costume, con le tante e straordinarie donne protagoniste, prolungandone a lungo a sinistra il mito. Poi però ne emergeranno le contraddizioni: alla crisi familiare, all’abbandono dei bambini, seguirà con Stalin una svolta legislativa e una fase di conformismo sociale che ne cancella di fatto le conquiste; la pianificazione economica centralistica, con la sua indifferenza alle condizioni di vita dei cittadini, con i suoi fallimenti, danneggerà le donne, restate, malgrado le intuizioni leniniste, drammaticamente vittime del doppio lavoro; lo schiacciamento di ogni libertà intellettuale e politica colpirà tante splendide protagoniste della intelligentzia, obbligandole al silenzio o chiudendole nei gulag.
Anche nei paesi democratici occidentali gli anni Trenta rappresentano un passaggio delicato. Il cammino delle donne non si arresta, stimolato come è, insieme, dal mutare delle condizioni materiali dell’esistenza – decisivi lo sviluppo dei consumi, l’influenza del cinema, le nuove occasioni di mobilità – e da una crescente attenzione a sé stesse. Ma vede, soprattutto dopo la crisi economica del 1929, una contraddittoria filosofia pubblica. Nessuna società industriale può fare a meno del lavoro delle donne per la sua convenienza in ragione dei minori salari e cresce ovunque il numero delle madri e delle donne sposate occupate; ma il messaggio ossessivo prevalente è pur sempre quello dei danni sociali del lavoro delle madri, della necessità di favorirne il ritorno domestico, l’attribuzione alle donne delle colpe della crisi della natalità, tutta vista in funzione delle politiche di potenza, per cui non si fa nulla per attenuare i disagi del doppio lavoro. Faranno eccezione soprattutto i paesi scandinavi che stimoleranno il lavoro femminile anche con lo sviluppo delle strutture di assistenza all’infanzia.
E’ certo positivo, in questo quadro, che una attenzione nuova sia data all’economia domestica, alla necessità di sostegni mirati alle coppie con figli, ma non si supera l’ottica tutta concentrata sulla economia di mercato, la disattenzione sul contributo del lavoro di cura al benessere collettivo. Il welfare state, che fa i suoi primi passi, soprattutto teorici, in questa fase, nasce (e si svilupperà) in funzione soprattutto della sicurezza del lavoratore maschio adulto, con le donne e i bambini considerati come sue emergenze.
In questo quadro l’investimento principale delle donne sarà come noterà Betty Friedan nel suo "La mistica della femminilità", prevalentemente sugli affetti e la vita familiari. Le stesse associazioni femminili attenuano le loro componenti radicali e assumono la svolta familista propria del periodo, con un’attenzione accresciuta ai rapporti fra famiglia e lavoro. Ma non c’è in questo solo conservatorismo. Si tratta infatti di valori autentici per cui le donne intendono semmai, consapevolmente o no, esercitare una pressione innovativa. Le donne pongono in questi decenni le prime basi per una nuova concezione delle coppia, dall’uso comune del tempo libero alle strategie riproduttive; scoprono il valore della sessualità; vedono aumentare le loro competenze domestiche nel rapporto con il mercato, i nuovi consumi, i nuovi modelli; raffinano il loro rapporto con i figli; impongono, nelle aree più avanzate, tipico il Nord America, i primi impegni domestici al partner. Sono insomma protagoniste attive, molte di loro, di mutamentisociali meno conflittuali, ma che danno continuità ai mutamenti del secolo.

Dalla seconda guerra mondiale all’età dello sviluppo:1939- 1970
La seconda guerra mondiale coinvolge le donne ancor più della prima, fra distruzioni della guerra aerea, restrizioni alimentari, perdita dei propri cari e i drammi estremi delle persecuzioni naziste, fino all’Olocausto, al sacrificio di milioni di donne ebree.
Entro questo lungo incubo matura, ci dicono le testimonianze, un nuovo sentimento femminile di autosufficienza, di autostima, legato alle supplenze esercitate, alle necessità cui ci si dimostra capaci di far fronte.
Il passaggio chiave ne è la partecipazione alla Resistenza, i cui numeri, importanti anche se sottostimati (35.000 combattenti riconosciute, 4.600 arrestate, 2.750 deportate in Germania, 623 cadute o fucilate) non dicono però il continuum tipico delle donne, fra iniziativa spontanea di solidarietà non quantificabile, e la partecipazione organizzata alla lotta armata.
Le donne vi incarnano due diversi profili, ora coesistenti ora alternativi: la dilatazione del sentimento materno oltre i confini familiari, un esercizio del maternage sentito come responsabilità pubblica, che ispirerà già fin dall’8 settembre, una cura corale dei soldati sbandati, dei prigionieri fuggiti, e poi via via degli ebrei, dei renitenti alla leva, dei ricercati, dei bambini; ma anche una volontà forte di protagonismo personale, di cittadinanza, da vivere accanto e analogamente a quella maschile, che esalta il proprio essere individuo libero, responsabile, la propria autodeterminazione. Sono però comuni gli effetti sul carattere: coraggio fisico e resistenza psichica, obbligo di prendere rapidamente, da sole, decisioni drammatiche, capacità di controllo e di operatività in campi ignoti, nuovo intreccio fra pubblico e privato. E sarà comune il durare oltre la guerra delle reti di assistenza ai reduci, agli sfollati, ai bambini, caratterizzando il
primo "far politica" delle donne e il radicarsi popolare delle grandi associazioni femminili appena nate, l’UDI e il CIF.
Il come le donne sono state entro la Resistenza la mostra meno come una guerra civile e più come il rinascere di una solidarietà collettiva, di una "pietas", di una identità nazionale libera dalle retoriche che riscopre le ragioni del convivere.
Con l’ammissione delle donne al voto, sanzionata il 1. 2.1945, mentre al Nord ancora si combatte, la rinascita delle democrazia diviene un fatto anche delle donne. Si tratta di un fatto rivoluzionario, che rovescia una tradizione millenaria, profondamente interiorizzata, per cui attributo delle donne erano il silenzio e l’obbedienza; ma esso è vissuto prevalentemente dalla politica italiana (e più tardi dagli storici) come un fatto ovvio, inevitabile, sotto il segno della continuità, entro l’illusione di una facile conciliazione col ruolo tradizionale, spesso con sciatteria, fra incoscienza e fastidio. Le donne, invece, tutte le testimonianze lo confermano, vivono come un momento esaltante l’emozione del primo voto: qualcuna lo definisce come una nuova nascita.
Il peso determinante del voto femminile ai fini dell’esito democratico è stato spesso denunciato come il segno della arretratezza. Non è stato così. L’impegno militante delle donne di tutte le parti politiche, per molte speso proprio per far andare a votare, ha avuto una funzione decisiva nel radicare a livello popolare, dei semplici, il valore del voto, il valore della scelta del cittadino, insomma il valore della democrazia. Che le donne abbiano contato è del resto confermato dal fatto che a svolgere un ruolo maggioritario nella storia repubblicana saranno la DC e il PCI, cioè quelli che hanno espresso strategie e attenzione rivolte al voto femminile, favorito organizzazioni proprie delle donne, portato alla Costituente un nuovo ceto dirigente femminile (nove donne la DC e il PCI, contro due dei socialisti, il secondo partito allora, e una dell’"Uomo qualunque").
Per il PCI è illuminante il caso emiliano, dove la fortissima adesione delle donne rovescia gli effetti della estensione del voto e esprime molti e importanti personaggi femminili. L’area laica vede attive donne straordinarie, che non saprà però valorizzare adeguatamente: Teresa Sandeski Scelba, Nina Ruffini, Josette Lupinacci, Maria Calogero. L’impegno massiccio e decisivo delle cattoliche è ricco anche di effetti democratici: si deve al suo effetto pedagogico interno, se, in un momento delicatissimo della democrazia italiana, quello per cui con l’operazione Sturzo si tenterà una svolta di destra, anche l’Azione Cattolica femminile si schiererà con De Gasperi, isolando le tendenze al blocco di destra.
La Costituzione sanzionerà questa presenza femminile: l’impegno delle Costituenti garantirà uguaglianza di diritti alle donne (in particolare negli articoli 2, 3, 30, 31, 37) ma tenterà anche di anticipare, entro l’attenzione alle solidarietà collettive, una nuova visione della maternità. Negli anni seguenti si sconterà il carattere avanzato del testo costituzionale rispetto alla società italiana sia per quanto riguarda i diritti femminili sia per quanto riguarda il sostegno alla maternità: ma esso sarà comunque un importante fattore di stimolo alla coscienza e alle rivendicazioni delle donne, ne legittimerà le lotte.
Hobswom ha parlato per i due decenni dopo la seconda guerra mondiale, segnati da un vertiginoso sviluppo dell’economia, dei consumi, delle garanzie collettive, della mobilità sociale, di "età dell’oro"; non si devono però dimenticarne le contraddizioni che scoppieranno drammaticamente. Comunque di entrambi gli aspetti, sviluppo e contraddizioni, sono straordinariamente partecipi anche le donne.
Le associazioni femminili, le donne parlamentari, spingono subito con tenacia per un adeguamento legislativo, che, pur fra resistenze e ritardi, consentirà di raggiungere, dopo due decenni, almeno una parità giuridica formale, sulle questioni proprie della vita femminile: dalla legge di tutela della lavoratrice madre ( 1950) al divieto di licenziamento a causa di matrimonio (1962) dall’ingresso delle donne nell’amministrazione della giustizia (1956) alla costituzione della polizia femminile (1959). Le lotte delle donne vedono anche tutta una serie di iniziative di sostegno a particolari categorie di donne, dalle mondine, alla raccoglitrici di olive alle braccianti meridionali. Con esse, con la larga convergenza delle organizzazioni femminili, col lungo dibattito cui sono costrette dai ritardi della cultura politica, entra in circolo una critica alla tradizione e agli stereotipi che va oltre l’obiettivo legislativo in senso stretto e prepara la legislazione paritaria degli anni sessanta, dalla parità di salario a parità di lavoro, legata al Trattato di fondazione della CEE, fino all’accesso delle donne a tutte le professioni (1963) cui seguiranno, negli anni settanta, una nuova legge di tutela della lavoratrice, l’istituzione degli Asili nido, quella dei Consultori familiari.
Un ruolo forte a parte avranno, al fine di incidere sulla immagine della donna, la legge Merlin per l’abolizione della regolamentazione della prostituzione (1958) e, ma è già un’altra fase, la riforma del diritto di famiglia (1975) con il riconoscimento della parità dei coniugi.
Di questa lunga stagione di crescita delle donne si devono notare alcuni aspetti.
Sul piano politico, fino allo scoppio della contestazione neofemminista, la sostanziale convergenza riformista femminile rappresenta un modo di vivere la guerra fredda che è stato proprio delle donne. Il conflitto ideologico e politico è aspro ma non si ignorano le comunanze di interessi e aspirazioni su tutta la gamma dei diritti femminili: le stesse ideologie si affinano e si intrecciano come dimostrano i Congressi dell’UDI, del CIF e delle Acli femminili, delle donne dei partiti, del Consiglio Nazionale delle donne, rinato nel 1954. Non ne possono essere trascurati né gli effetti innovatori sulla società italiana e sul costume diffuso, né quelli sulle strategie politiche. All’VIII Congresso del PCI, il drammatico Congresso di dopo il rapporto Kruscev, le comuniste elaborano un rapporto fra politiche di emancipazione e "via italiana al socialismo", che fu uno dei più originali tentativi di sintesi fra riformismo e rivoluzione ; la spinta delle donne di area cattolica per una legislazione paritaria contribuisce a dare coerenza alla strategia di centrosinistra assunta dal partito; le socialiste si riservano, entro le organizzazioni di massa di sinistra come entro l’azione dei governi di centrosinistra, una più marcata e polemica pressione per la liberalizzazione del costume.
Della rivoluzione dei consumi le donne non sono solo destinatarie passive: vi esprimono la determinazione a voler cambiare la propria vita. La diffusione del gas liquido, delle fibre sintetiche, dei detersivi modifica il rapporto della donna col fuoco e con lo sporco e apre prospettive mai immaginate di riduzione della fatica; la rapidissima diffusione delle lambrette e delle vespe anche fra le ragazze rende consueta una immagine così poco convenzionale.
L’ulteriore diffusione della radio, ancor prima che quella della televisione, l’ abitudine al cinema, la diffusione delle strade e del telefono, l’aumento dei servizi igienici e idraulici, familiarizzano la sensibilità femminile con l’idea del miglioramento, del valore delle novità.
Tutto ciò comporta già una rottura con la tradizione che appare il fatto nuovo dell’universo femminile. Il mutamento di certi riti, di certi consumi, l’uso di una nuova libertà di scelta nel lavoro e nella professione, nella passione politica e civile, nei viaggi comporta un abbandono del ruolo femminile tradizionale. Per la prima volta le donne sono presenti nelle avventure, nei luoghi, nelle elaborazioni della generazione che si affaccia alla storia. La crescita della scolarizzazione femminile, già netta, e di una scolarizzazione non separata, si rivelerà alla fine il fenomeno determinante degli esiti futuri. Non c’è ancora una trasformazione radicale del costume sessuale, che pure muta di fatto, ma scompaiono rituali e modelli. Il corpo e l’autorappresentazione del corpo acquista una rilevanza favorita anche dalla diffusione della fotografia nei media, del cinema ; le nuove professioni femminili (l’hostess, la mannequin, l’annunciatrice, l’estetista) pubblicizzate e mitizzate ne hanno in comune la visibilità.
Lo stesso sviluppo economico e civile italiano, la fortuna del "made in Italy", sono segnati dalle donne non solo per i consumi; c’è una creativa imprenditorialità femminile – che spesso ha origine nell’esperienza del lavoro a domicilio con i suoi rapporti con il mercato e col sistema di convenienze tecnologiche e produttive – che è alla base di tanta piccola e media industria, del cosiddetto "modello italiano" anche quando titolari ne saranno i partner maschili E tuttavia non dimentichiamone le contraddizioni: l’ottimismo dei due decenni è anche rimozione delle ragioni profonde delle disuguaglianze, illusione di una facile conciliazione fra vecchi e nuovi ruoli, che copre la continuità del sostanziale maschilismo della organizzazione sociale e familiare e spesso accentua il disagio delle donne, le emigrate nelle città del Nord, le casalinghe per forza, le vittime del doppio lavoro.
Ne è segnata la storia dello Stato sociale: a determinarlo erano state, fin dall’Ottocento, le pratiche e le rivendicazioni operaie ma anche la pressione dei movimenti femministi e della filantropia femminile a sostegno della maternità e del lavoro della donna. Nella sua forma pubblica esso evolverà sotto la forma patriarcale e lavorista, avendo al centro la figura del lavoratore maschio capofamiglia come figura da garantire. La stessa assistenza alla maternità è andata emergendo più come risposta al declino della natalità, trattata ora come una questione militare ora come un problema etnico, anziché in funzione delle esigenze delle nuove generazioni e della cittadinanza femminile.
Malgrado questo la socializzazione della tradizionale funzione di assistenza e solidarietà ha comportato, con una socializzazione del ruolo femminile, un ingresso massiccio di donne negli impieghi pubblici e un primo effetto delle battaglie e delle competenze maturate: in particolare nelle amministrazioni locali, negli assessorati ai servizi sociali.
In Italia comunque ci sarà a lungo un grave ritardo delle politiche sociali per le famiglie, attribuito alla contrapposizione di valori di riferimento fra cattolici e sinistra laico-marxista: ma anche questo è legato al maschilismo politico italiano: malgrado la pratica convergente delle donne, i temi del mutamento della famiglia sono stati a lungo usati nel dibattito politico più per agitarli come bandiere di scontro e spinte alla modifica degli rapporti di forza, che per affrontarlinei loro contenuti reali.

La rivolta femminile e i suoi esiti
E’ per questo insieme di contraddizione che anche in Italia, come nel resto del mondo, gli anni Settanta saranno gli anni della rivolta femminista. Si tratta del fenomeno più complesso e insieme più incisivo del secolo, ma anche quello più difficilmente sintetizzabile in poche righe per le più giovani.
Essa nasce all’interno della contestazione studentesca con cui avrà in comune la fine della visione ottimistica sullo sviluppo, con la denuncia della democrazia politica e della stessa istruzione di massa come fattori di disuguaglianza, con la critica alla funzione progressista della scienza e della tecnica; e il fenomeno è mondiale, quasi un primo segno degli effetti della globalizzazione.
Il fatto è che nelle Università ormai le donne sono tante; donne cui proprio la condizione privilegiata rivela il peso di una storia di esclusioni. Impegnandosi con i loro compagni le donne riscoprono, entro il conflitto generazionale, il conflitto fra i sessi, largamente rimosso nell’ottimismo precedente, lo denunciano e lo vivono con foga; soprattutto avvertono, sempre più numerose, la necessità di ripensare sé stesse, di pensarsi come donne oltre e fuori l’immaginario maschile che le condiziona. Nascono così e si moltiplicano una serie straordinaria di collettivi, gruppi di autocoscienza, gruppi di self help, il cui oggetto è fondamentalmente la messa in comune del disagio, la ricerca comune su di sé e i propri rapporti. Insieme danno vita a fogli, pubblicazioni, documenti, manifesti che in parte fanno deflagrare l’associazionismo femminile tradizionale dall’altra costituiscono una galassia di relazioni, interscambi fra donne di esperienze diversissime, influssi reciproci e polemiche rotture, con una straordinaria vitalità che espande il movimento a macchia d’olio in una proliferazione di soggetti che sarebbe difficile citare tutti: dal Movimento di Liberazione della donna al gruppo di via Pompeo Magno di Roma, dalle donne di Lotta continua che provocheranno la rottura della organizzazione sul tema dell’uso della violenza, al gruppo Anabasi, alla Libreria delle Donne di Milano e poi via via nel tempo la trasformazione dell’UDI, la nascita dei Centri di documentazione a partire da Bologna, il centro Virginia Wolf a Roma, per non parlare che di alcuni.
Questo neofemminismo ha segni propri, fra cui decisivi:
– la scelta del termine "liberazione" al posto del vecchio "emancipazione": non più la ricerca dell’omologazione al modello maschile ma la costruzione autentica di sé, a partire dai propri desideri e bisogni. Da questa esperienza concreta diffusa, praticata nei gruppi si svilupperà poi a livello teorico la riflessione sulla differenza, gli studi sulle donne, la scoperta di una nuova fierezza intorno alle risorse e alla forza delle donne;
-la riconduzione della politica alla rivoluzione dei comportamenti, al mutamento del qui e ora, grazie al mutamento delle coscienze attraverso le relazioni personali, che lega in modo nuovo privato e politico. Questa novità, di grande valore etico, segnerà la fase forte della politica delle donne ma assunta in modo esclusivo rischierà poi di far riemergere il primato della politica tradizionalmente intesa;
– l’attenzione al corpo, il riappropriarsi del corpo come parte di sé, nella sessualità, nella medicina alternativa, superando tutti i vecchi tabù.
Nella diffusione del suo messaggio di riappropriazione del corpo, di una sessualità libera, di negazione del ruolo storico imposto, il movimento troverà una sorta di identificazione simbolica, a carattere mondiale, nella richiesta di libertà di aborto. In Italia, sostenuta in una prima fase dalla pressione del partito radicale, come per il divorzio, verrà assunta dal movimento femminista come autodeterminazione della donna. Aldilà della sua forza d’urto immediata, dei consensi e dei dissensi, interni ed esterni al movimento, delle provocazioni e degli anatemi che questo provocherà, va però notato che, a partire da questa campagna mondiale, si sviluppa una nuova riflessione femminile che proprio per aver legato la maternità a una libera scelta può poi riscoprirla come valore e risorsa femminile.
Gli effetti della rivolta neofemminista segnano, più di quanto le cronache ricorrenti sulla vitalità del movimento avvertano, effetti di lungo periodo, forse più della stessa contestazione studentesca.
La forza provocatoria della rivolta femminile ha più effetti.
Nella vita sociale si afferma una nuova pratica della trasgressione, della provocazione, ormai incontenibile con le vecchie tecniche di controllo sociale, che nell’immediato divide le stesse donne e nel seguito del secolo avrà anche caratteri opposti alle ambizioni femministe legittimando lo sfruttamento esasperato del corpo femminile o provocando stanchezze e ritiri. Nella vita politica italiana entrano in crisi i vecchi equilibri fra le forze politiche. La pressione delle lotte femminili provoca, per la prima volta, l’interruzione anticipata di due legislature, su temi femministi come il divorzio e l’aborto; annulla, provocando il fallimento di due referendum, il progetto abrogazionista; mostra quanto siano profondi i mutamenti della società italiana, quanto vi incidano le scelte delle donne; indica che il processo di secolarizzazione ora riguarda anche l’altra metà del cielo; stimola , dal 1976, un mutamento netto del voto femminile.
Ma l’effetto principale è sulla grande maggioranza delle donne, anche quelle che non hanno mai letto un testo femminista, che non si definirebbero mai femministe, le stesse cattoliche che si oppongono all’aborto, sono in qualche modo coinvolte e toccate, portate a modificare e ricalibrare desideri, attese, reazioni, coscienza di sé. Ne nascerà comunque una nuova insopportazione delle disuguaglianze e delle pretese maschili e una diffusa pratica di autonomia, una forte accelerazione delle politiche di parità, che divide la cultura femminista ma che parte di essa contribuirà a qualificare in modo decisivo, un nuovo investimento femminile sulle carriere, una domanda diffusa di agio.
Per contro si svilupperà anche una reazione fra gli offesi dalla nuova immagine femminile, una reazione che alimenterà le moral majority degli anni Ottanta, favorendo nel mondo sul piano politico il ritorno di una politica di destra, spingendo su quello ecclesiale in senso inverso alle aperture al mondo moderno operate da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris e dal Concilio Vaticano II.
In ogni caso in ragione dello sconvolgimento profondo provocato dalla rivolta femminista, gli anni Ottanta e Novanta conoscono, pur fra molte contraddizioni, una straordinaria accelerazione della visibilità femminile. Si registra una tendenza crescente al sorpasso femminile nei dati della scolarizzazione: le ragazze investono più dei maschi negli studi, conoscono meno fallimenti e dispersioni scolastiche, studiano più a lungo. Si moltiplicano i successi professionali femminili in campi nuovi, a partire da quello imprenditoriale. Ma ovunque la riuscita non dipenda da una benevolenza maschile le donne si affermano; vincono i concorsi (sono ad esempio sempre di più in magistratura); sono protagoniste di primo piano nel mercato, della moda, nello spettacolo (e non solo nella figura in qualche modo tradizionale dell’attrice ma anche come registe con Cavani, Wertmuller, Archibugi, Comencini ecc), dell’editoria, e non più solo come scrittrici ma anche come imprenditrici dell’editoria; rompono la barriera della visibilità nei telegiornali.. La voglia di successo e carriera, pure per certi versi agli antipodi del movimento neofemminista, acquista forza anche grazie ad esso e prende la forma di una lobby, le "Donne in carriera".
Sono gli anni in cui, grazie anche allo sviluppo degli studi delle donne, i women’s studies come si sono chiamati in America, le donne scoprono sé stesse: scoprono che il loro trascorrere dal lavoro alla casa è certamente fatica ma produce anche competenza, ricchezza interiore, intuito, creatività; è la loro forza.
In linea con le stesse spinte internazionali, di cui parleremo dopo, che vengono da ONU e CEE, nascono via via nel 1984 la Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio, il Comitato per l’attuazione del principio di parità di trattamento fra lavoratori e lavoratrici preso il Ministero del Lavoro, il Comitato per le pari opportunità presso il Ministero della P.I., anche il ministero degli Esteri inaugura un ufficio Donne e sviluppo per quanto riguarda la cooperazione italiana; nascono una serie di Comitati, Consulte, Consulte delle elette presso le autonomie regionali e comunali: sono approvate nuove leggi per la parità sul lavoro, nell’imprenditoria; le parlamentari iniziano a intervenire collettivamente, con effetti crescenti a favore delle donne, nella stesura delle finanziarie annuali che decidono del bilancio dello Stato; finalmente nel 1996 giunge a conclusione, dopo molte difficoltà e polemiche la legge contro la violenza sessuale.
Tiene ormai banco, con una drammatizzazione crescente lo squilibrio dei sessi nella rappresentanza. Le donne del PCI, che nel 1986 hanno prodotto una Carta delle donne, con lo slogan felice "dalle donne la forza delle donne", che fa il punto degli obiettivi da raggiungere, da quelli storici alle nuove esigenze emerse, in particolare denunciando le distorsioni nell’uso del tempo, aprono una vertenza nel loro partito che ha come risultato, nel 1987, di portare in Parlamento un terzo di donne per il loro gruppo, che fa salire la percentuale complessiva oltre il 10%. Nelle elezioni posteriori però, nel quadro della lunga transizione italiana, il trend di crescita si arresta. La nuova legge elettorale del 1994 introduce una quota paritaria femminile nelle liste proporzionali della Camera e un rapporto due a uno nei candidati per le regionali, con effetti però nettamente insufficienti e sarà comunque cancellata da una non felice sentenza della Corte Costituzionale.
Le ultime novità politiche positive del secolo in Italia sono comunque le nuove brillanti presenze femminili al Governo, dalle tre donne del Governo Prodi alle sei del Governo D’Alema, alle molte sottosegretarie, con la nomina anche di un Ministro per le pari opportunità; una donna entra per la prima volta alla Corte Costituzionale. Non è solo il successo di una élite femminile: le politiche di sostegno alla maternità conoscono finalmente una svolta e l’esecutivo assume formalmente la responsabilità della condizione delle donne.
L’analisi di questo processo sarebbe monca se non si collocasse dentro il dato più rilevante: la natura internazionale ormai assunta dal tema della donna. Sulla scia del movimento degli anni settanta, con il suo carattere internazionale, si sono poste infatti, per prime, le grandi centrali sovranazionali l’ONU, la CEE.
Per quanto riguarda l’ONU, il cammino che va dalla Assemblea per l’anno internazionale della Donna del 1975 a Città del Messico, e via via a Copenaghen nel 1980, a Nairobi nel 1985, fino a Pechino nel 1995, favorito anche dalla esperienza dei Forum paralleli delle ONG, è segnato dalla nascita in sede ONU di istituti specializzati, da una qualificazione dei programmi UNESCO, FAO, OMS, UNICEF, da un monitoraggio sui governi, e soprattutto da una crescita di una straordinaria classe dirigente femminile nei paesi del Terzo mondo. Questa politica si è data il suo strumento di diritto internazionale nella "Convenzione delle Nazioni Unite per le eliminazioni di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne" del 1979 e i suoi obiettivi politici nella Piattaforma approvata a Pechino nel 1995. Per suo conto anche la CEE, poi UE ha svolto una intensa azione di stimolo, con le sue raccomandazioni e dierettive, con la pressione del suo Parlamento.
Ma l’Assemblea di Pechino in particolare ha sanzionato il carattere centrale ormai assunto dalle questioni poste dalle donne, di cui le politiche di pari opportunità sono solo uno strumento. Il governo della globalizzazione, con i suoi vantaggi economici e il rischio dei suoi costi umani, ha bisogno delle donne e accende la voglia di governo delle donne. L’apertura delle frontiere provoca la reazione dei fondamentalismi religiosi e etnici e le fa vittime e ostaggi degli squilibri prodotti; la violenza dei mercati distrugge le loro economie naturali e le fa merce di scambio pornografica o produttiva. Di qui l’esigenza affermata a Pechino di un di più di potere per le donne e di un di più di determinazione nell’orientare le grandi correnti della politica.
Non si tratta di essere contro la globalizzazione che è una opportunità, tutto lo dimostra, per rompere l’antico pregiudizio e la vischiosità degli Stati nazionali. Le donne del resto passando da una famiglia all’altra hanno sempre costituito un elemento di scambio, di unificazione di culture e costumi, di usi alimentari e di pratiche di comportamento, di linguaggi e di conoscenze reciproche. In un mondo teso fra globalizzazione e rinascita di localismi, le donne sono come chiamate a tenere insieme le culture del territorio in cui sono cresciute, quelle in cui si sono inserite e una apertura universale. Quando questa non riesce, quando fallisce ne sono, Bosnia, Ruanda, Kossovo insegnano, le prime vittime.
La politica delle donne, in conclusione può assumere con più decisione quell’equilibrio, più che mai oggi necessario, fra ricostruzione di una coscienza nazionale comune, prospettiva internazionalistica di integrazione dei poteri, esaltazione delle autonomie locali, al fine di governare politicamente nell’interesse collettivo la globalizzazione.
Ma i due ultimi decenni del secolo non sono ancora al riparo dalle contraddizioni che hanno segnato tutto il secolo. Malgrado le lotte femminili il disagio delle donne permane e per riconoscerlo basta citarne i capitoli. La disoccupazione, ridivenuta angoscia sociale, è ancora un fatto che riguarda più donne che uomini, e donne spesso altamente acculturate; per quelle che lavorano vale ancora una forte segregazione verticale cioè la concentrazione a livelli più bassi degli uomini, con salari minori. La maternità, il lavoro di cura non sono ancora riconosciute per quello che rappresentano e penalizzano economicamente e socialmente le donne su cui continuano a pesare: secondo una importante inchiesta gli uomini italiani lavorano in casa un’ora e mezza al giorno in media contro le sette ore e un quarto della madre con figli che lavora anche fuori casa, una media assai più alta di quella europea. Lo stesso calo della natalità, che esprime certo anche una raggiunta libertà di scelta femminile, non è per questo meno doloroso; nascono meno figli di quanti le donne ne vorrebbero perché proibiti dalle condizioni sociali. Il ridisegno del welfare state, che dovrebbe anche correggere il maschilismo che lo ha caratterizzato, da una parte ritarda e dall’altra colpisce anche le donne. Lo sfruttamento sessuale e la pratica della violenza contro le donne, nelle loro varie forme, da quelle privatissime a quelle pubbliche dei media pornografici, da quelle domestiche e a quelle legate alla giungla urbana, perdura come una realtà antica ma insieme esprime una sorta di reazione moderna del maschio insicuro.
Ciò che più conta, malgrado la passione di tante donne, malgrado le affermazioni di singole, la politica resta un fatto maschile. Lo resta nelle sue percentuali ancora inferiori alle medie europee; lo resta nell’immaginario collettivo anche perché l’informazione politica è portata a dare spazio alle donne spesso in modo folkloristico, attraverso il look e il pettegolezzo, anziché per la natura dei contributi espressi. Soprattutto non è ancora convinzione comune che esistano, rispetto ai problemi più diversi, ragioni proprie delle donne che solo le donne possono rappresentare.
Il fatto è che la straordinaria avanzata delle donne nel secolo è segnata da due limiti. In primo luogo le vittorie delle donne non sono state solo un effetto della loro iniziativa, della loro determinazione ma anche della logica bruta dei processi di trasformazione e di contraddittori calcoli maschili, che hanno saputo servirsi del lavoro femminile, della acculturazione delle donne, della liberazione sessuale. E in secondo luogo la riflessione sulla trasformazione dei ruoli sessuali ha investito solo le donne, non ha ancora sufficientemente messo a tema il ruolo maschile, se non in termini di reazione e di nuovo disagio. E’ questo il compito che ci lascia il secolo.
a cura di Paola Gaiotti